Madonna Ortolana e sora Pacifica di Assisi pellegrine d’oltremare
La recente memoria degli 800 anni di presenza francescana in Terra Santa ci fa posare lo sguardo e l’attenzione a quei primi tempi sorgivi del carisma francescano quando, dopo il capitolo di Pentecoste del 1217, la piccola fraternità dei “penitenti di Assisi” ha allargato i suoi orizzonti e si è sentita spinta a partire per annunciare il Vangelo in tutto il mondo allora conosciuto.
Guidati da frate Elia da Cortona partirono dunque alcuni frati anche per la nuova Provincia di Oltremare o di Siria. A quell’epoca i viaggi oltremare erano riservati ai crociati oppure ai pellegrini: i primi armati per liberare i luoghi santi, i secondi disarmati per visitare gli stessi luoghi santi. Tali viaggi erano, oltre che costosi, molto rischiosi e solo una fede solida poteva motivare a partire e sostenere i rischi e le fatiche dell’ avventura.
Pochissimi sanno che, prima di frate Elia e del giovane san Francesco, dalla piccola cittadina umbra di Assisi due “future clarisse” giunsero pellegrine oltremare: si trattava di madonna Ortolana, madre di santa Chiara, e di sora Pacifica di Guelfuccio, ambedue successivamente entrate nella nascente comunità di Povere Dame.
È proprio sora Pacifica a raccontarlo di persona, testimoniando al processo di canonizzazione di santa Chiara nel novembre 1253:
«Anche disse che la predetta madonna Chiara era nata de nobile generazione, e de padre e madre onesti [ … J; la madre [ … ] chiamavase madonna Ortolana; la quale madonna Ortolana andò de là dal mare per cagionede orazione e devozione. Et essa testimonia similmente per cagione de orazione andò oltra mare con lei: et anche andarono insieme a Santo Angelo et a Roma» (Proc I,4).
Ortolana e Pacifica furono dunque compagne durante i pellegrinaggi che, nel medioevo spingevano i fedeli a raggiungere i luoghi delle indulgenze; in quel periodo possibili solo a Roma alla tomba degli apostoli, a S. Michele arcangelo nel Gargano oppure, come grande eccezione, al sepolcro di Cristo. Ma non furono le sole a partire dalla piccola piazza di Assisi: le Fonti raccontano che Bona di Guelfuccio, sorella di Pacifica e fedele compagna di Chiara negli incontri segreti con Francesco (cf ivi, XVII), era pellegrina a Roma «per la quarantena» quando Chiara lasciò la casa paterna la notte della Domenica delle Palme.
Di madonna Ortolana parla anche papa Alessandro IV nella Bolla di canonizzazione di santa Chiara vergine, tratteggiandola «tutta dedita a opere di pietà» e testimoniando che «seguendo i passi della figlia, abbracciò devotamente in quest’Ordine la vita religiosa: nel quale, appunto, questa ottima ortolana, che aveva generato tale pianta nel campo del Signore, chiuse felicemente i suoi giorni» (BolCan lO).
Non si conosce il periodo del pellegrinaggio di madonna Ortolana e di sora Pacifica che, con i trasporti di allora, sarà durato diversi mesi. Certamente fu prima del 1211 (o 1212), anno in cui Pacifica entrò nel monastero, pochissimo tempo dopo Chiara: fu sua prima compagna dopo la sorella Agnese e «[ … ] quasi lo dì e la notte per la maggiore parte la serviva» (Proc 1,3) nell’infermità, lungo i 42 anni a S. Damiano. Un significativo indizio sul possibile periodo, è la tregua stipulata da al-Malik al-‘Adil (fratello e successore di Saladino) «nel settembre 1204, della durata di sei anni, che offriva ampi vantaggi ai latini sia sotto il profilo territoriale che nel pellegrinaggio, in particolare con l’apertura dei viaggi devozionali a Gerusalemme e a Nazareth».
Quanto di questo pellegrinaggio fu raccontato a santa Chiara? Non ci sono testimonianze dirette, ma si può intuire che l’amore di Chiara al mistero dell’Incarnazione e della Redenzione non fu nutrito solo dalle parole ardenti di Francesco. Infatti, madonna Ortolana, che fin dall’infanzia formava le figlie alla fede e alla pietà (cf. LegCh 1-3), deve averne condiviso e trasmesso la grazia e la gioia:
«[ … ] andò una volta per devozione, [Madonna Ortolana] insieme con altri pellegrini, visitando quei luoghi che le sacre orme del Dio fatto uomo hanno consacrato, e ne tornò con gioia» (ivi, 1).
“Seguire le orme del Figlio di Dio” è per Francesco e Chiara forma di vita (cf. RegCh VI); vedere e toccare la povertà del Figlio di Dio e della sua santissima Madre, spinse Francesco a vederlo vivo a Greccio e sperimentarlo indelebilmente nella sua carne a La Verna.
Pagina piuttosto sconosciuta dell’esperienza di santa Chiara, è quella in cui si racconta che le fu dato di “vedere Betlemme” la notte del suo ultimo Natale, nel 1252, quando fu lasciata sola mentre la comunità era riunita a pregare l’Ufficio divino in chiesa. Si conosce bene il fatto, che ricordano le Fonti, quando le fu data la consolazione di «[ … ] udire li organi e responsori e tutto lo offizio delli frati della chiesa de Santo Francesco» (Proc 111,30).
Fatto che, nel 1958, le meritò di essere proclamata da papa Pio XII patrona della televisione. Ma più e più grande fu però la consolazione di Chiara che – come testimoniato da sora Amata – «vide anche el presepio del Signore nostro Iesu Cristo». Questo episodio sora Amata lo «udì da la predetta madonna Chiara» (ivi, IV, 16). Santa Chiara non si recò fisicamente nei luoghi santi, come sua madre Ortolana o la fedele compagna Pacifica, ma la sua fede le meritò di vedere non le pietre del 1200 o di oggi, ma «el presepio del Signore nostro Iesu Cristo», di intravvedere per qualche istante la Notte santa di Betlemme in cui il «santissimo e dilettissimo Bambino, [fu] avvolto in poveri pannicelli e adagiato nel presepio» (RegCh II,25) dalla sua santissima Madre.
In questi 800 anni le figlie di santa Chiara in Terra Santa hanno tessuto la loro piccola storia, fecondata già all’inizio dal martirio delle 74 sorelle del monastero S. Chiara a S. Giovanni d’Acri nel 1291. Dopo sei secoli – nel 1884 – il carisma clariano è tornato a vivere attraverso le comunità dei monasteri di Nazareth e Gerusalemme che ancora oggi custodiscono l’amore per questo stesso mistero di Incarnazione e di Redenzione, in comunione con i frati della Custodia di Terra Santa.
m. Maria Chiara Bosco osc.
[Fonte: Rivista “Forma Sororum”, 3/2019]